The Brexit effect…


 

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The Brexit effect…

Non è facile comprendere le dinamiche della Brexit. Un articolo scritto con l’augurio di non farsi mai condizionare da una sola fonte d’informazione, ma, anzi, favorire il principio che una pluralità di osservazioni riduce gli errori cancellando gli effetti dei dati divergenti. Per chi volesse approfondire, il testo completo è presente sull’edizione di dicembre del Magazine di Confindustria Salerno Costozero.it

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Oggi sembra essere di grossa attualità cercare di spiegare quello che accadrà nel Regno Unito con la Brexit, questo anche alla luce di quanto sta accadendo in Europa. L’instabilità che in questo periodo sta divampando potrebbe fare molti più danni della Brexit. Questo è senza dubbio il punto da cui partire se vogliamo capire che cosa stia succedendo nel Regno Unito.

Occupandomi di processi d’internazionalizzazione delle imprese, sono spesso tra Londra ed Istanbul per lavoro. Durante le mie trasferte ho avuto modo di verificare quello che realmente gli inglesi (e non solo) pensano succederà nei prossimi 2 – 4 anni e soprattutto constatare che lo stato di salute dell’economia britannica è buono. Le impressioni dall’interno non sono negative e riflettono appunto le performance economiche (dati pubblicati anche sul sito del governo inglese).

Per prima cosa il PIL inglese che non ha subito la caduta che molti pronosticavano un anno fa, ma anzi nel 2016 è risultato tra i migliori dei paesi appartenenti al G7 (+1,8%). Vero è che potrebbe essere ancora presto per un eventuale “brexiteffect”, ma la cosa che sorprende è che l’economia è in netto progresso, ad esempio la disoccupazione è scesa per la prima volta dal 1975 al 4,3% e, negli ultimi due anni il Regno Unito è stato il primo mercato nell’UE per investimenti provenienti dall’estero (IDE). Si parla di oltre 2.200 progetti registrati nel solo periodo 2016-2017.

Insomma, una sorta di approvazione su quanto sta avvenendo appare motivata.

E’ evidente però che in caso di hard Brexit l’impatto in termini economici e occupazionali potrebbe essere molto più consistente rispetto a una soft Brexit che porrebbe invece, l’Inghilterra all’interno dell’unione doganale. Gli imprenditori non dovrebbero però restare a guardare: in questo momento si stanno ponendo le basi per il futuro dell’Inghilterra e probabilmente dell’UE tutta.

Vediamo quali sono le “priorità” del Governo inglese.

La priorità in assoluto del governo inglese non può che essere quella di garantire stabilità, continuità e accordi transitori che riducano al minimo le interruzioni di attività per le imprese. Ci saranno punti di scontro come la questione del controllo dell’immigrazione, ma si andrà verso una serie di compromessi dettati dal reciproco rispetto. Dopotutto, come rimarcato dal Primo Ministro belga Charles Michael, “The UK cannot have its cake and eat it, too” (detto popolare inglese per dire che gli inglesi non possono tenersi la torta e mangiarsela pure). Un messaggio chiaro lo ha inviato il Sindaco Laburista di Londra Sadiq Khan che ha assicurato una certa apertura della capitale britannica tramite l’istituzione di visti di lavoro per la città di Londra.

Inoltre, il Regno Unito vuole mantenere un rapporto più stretto possibile con i “neighbours” (i vicini paesi europei), quindi senza interrompere le relazioni commerciali, ma anzi identificando scenari i cui aspetti potremo verificare nel concreto solo dopo che il governo inglese avrà ripreso a correre a “briglie sciolte”.

Che cosa possiamo fare?

Dal canto nostro, se vogliamo veramente anticipare gli effetti della Brexit, non possiamo ignorare la loro cultura, ma anzi è proprio da questa che dovremmo partire per consolidare i rapporti in essere.

Consentitemi di guardare al passato, quando ero un giovane AD di un’azienda inglese. Ricordo le parole di un imprenditore locale che mi spiegava perché gli inglesi non volessero la UE: “noi siamo un popolo con pochissime leggi, molto chiare; nonostante ciò ti assicuro che è difficile rispettarle tutte; ma voi come fate con migliaia di leggi a rispettarle veramente?”…

…molto probabilmente l’UK si trasformerà rapidamente in una piattaforma per aziende straniere, si pensi agli USA, che già adesso usano la Gran Bretagna come punto di accesso all’Europa. La ricetta è semplice e i presupposti ci sono tutti. Per prima cosa la Corporate Tax (tassa sulle imprese) in UK già di per sè aggressiva (al 19%) scenderà al 17% dal 1 aprile 2020. E’ facile intuire che siamo ad un passo dal 12,5% applicato da Dublino. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se dal 2021 l’Inghilterra abbattesse questa tassa al 12% per 10 anni a tutte quelle aziende con una sede nel Regno.

In questo Paese c’è una correlazione unica al mondo di competenze, conoscenze e industrie. E’ considerato uno tra i migliori posti al mondo per avviare e far crescere un’azienda, in parte grazie al loro ambiente normativo avanzato, al loro solido sistema legale e a una forza lavoro altamente qualificata. La forza di questo Paese è dato quindi da queste forze intrinseche che rimarranno sempre in quel mercato, condizioni piuttosto rare negli altri paesi UE e che noi non possiamo trascurare.

Per la prima volta dopo oltre quarant’anni, il Regno Unito potrà di nuovo avere una politica commerciale completamente indipendente, libera di poter stringere legami commerciali con i paesi di tutto il mondo, con partner nuovi e vecchi.

Alla luce di quanto osservato, ritengo che chiunque crede di vedere con la Brexit un’Inghilterra alla deriva, si sbaglia di grosso, perché, in effetti, gli inglesi hanno scelto un’altra strada: “abbracciare orizzonti più ampi e veramente globali”.

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